C’era una volta l’Omeopatia, Marcel Proust, i films horror e gli Stati Generali

locandina di film horror
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C’era una volta, in un mondo senza computer, smartphone, kindle e social, quando ancora si leggevano i libri cartacei magari con il sottofondo musicale di un buon vinile, un giovane studente di  liceo classico molto curioso che tentò una impresa riuscita a pochi suoi amici, come un rito di iniziazione culturale: la lettura dei 7 libri della Recherche du temps perdu di Marcel Proust con le sue 3724 pagine.

A quell’età , la sfida era di resistenza, a quando gettavi al spugna. Come quando ci si sfidava in quelle maratone notturne di film horror che, talvolta, certi cinema d’essai organizzavano. Entravi alle 8 di sera e uscivi alle 8 di mattino dove esserti visto tutti i classici horror degli anni 60, da Psyco al Mostro della laguna nera, da Boris Karloff a Vincent Price e al mattino finivi a far colazione, con i cornetti appena sfornati, nelle panetterie rionali.

Il risultato non era scontato. Molti gettavano la spugna dopo il 4° o 5° film e andavano a dormire. Erano tempi in cui il ciclo circadiano giovanile non era così spostato verso la notte come oggi.

Dopo l’una in giro trovavi solo più metronotte, qualche ubriaco e prostitute, non l’affollata vita notturna odierna. Si godeva ancora di un buon sonno.

Quel giovane, che solitamente usciva vincente dalle maratone filmografiche, dopo aver affrontato i primi due tomi della recherche, dopo aver assaggiato l’esegesi del profumo delle madeleine, biscotti tanto amati da Proust, immerso nel the di tiglio, decise che la lettura doveva essere piacere e , a quell’età, i tempi dilatati del testo erano troppo distanti dal suo fosforico approccio alla vita.

Cosicchè rimandò a tempi più maturi la lettura completa del l’oeuvre cathédrale, come era stata definita e gettò la spugna.

Quel ragazzo ero io.

Ora, che da tempo sono diventato abbondantemente maturo, mi sono ritrovato di fronte ad una situazione analoga alla lettura della recherche. Parlo delle 100 tesi di Ivan Cavicchi, testo che il docente di sociologia e filosofia della medicina dell’Università di Tor Vergata ha preparato per gli Stati Generali, grande evento rinnovativo della medicina. Evento voluto fortemente da Filippo Anelli, presidente della FNOMCEO, che si pone come obiettivo l’affrontare la “questio medica”, la crisi della figura del medico, il suo ruolo in questa società ormai molto cambiata rispetto ad un tempo, l’approccio epistemologico alla malattia, la medicina amministrata ed il rapporto medico paziente che da paziente è diventato “esigente”.

Temi molto interessanti che non mi sarei aspettato in un momento storico di caccia alle streghe come questo.

Con gli attacchi continui a chiunque mostri anche solo un minimo dubbio rispetto a questo scientismo imperante, che non ha più nulla di scientifico, al puro dogmatismo, all’arrogante sicumera dei vari Burioni, Garattini, Angela che bollano come pseudoscienza qualsiasi modello interpretativo che non sia gradito alle grandi aziende farmaceutiche, non mi sembrava il momento storico opportuno per dar fuoco alle polveri di un dibattito così “rivoluzionario” per il mondo della medicina.

Ricordo che a tutt’oggi, sul sito della FNOMCEO, troneggia ancora una vergognosa scheda sull’omeopatia a firma di un collega, Salvo Di(s)grazia totalmente incompetente in materia ma con il solo merito di essere un hater di professione e di offendere con insulti pesanti e ripetuti qualsiasi collega che non la pensi come lui. Un atteggiamento molto fascista.

Ebbene, sfruttando un periodo di vacanze in una isola sperduta della Grecia dove le capre regnano sovrane, mi sono lanciato in questa lettura che, se da una parte mi ispirava per i contenuti, dall’altra mi frenava per la mole.

La scoperta è stata entusiasmante. Ne consiglio la lettura a tutti i medici. Pagina dopo pagina rivivevo tutti i percorsi che negli anni professionali avevo vissuto. La crisi del paradigma positivista, la ricerca di qualche strada più completa e più coerente con la mia visione di medicina e di terapia, i primi tentativi, la scoperta della medicina omeopatica con i primi titubanti tentativi, i primi entusiasmanti risultati positivi, la riscoperta di una medicina quasi dimenticata, il piacere di “vedere” il paziente in modo più articolato, più completo, di fare prognosi più precise e verosimili rispetto alla clinica convenzionale, ecc.

Tutti i passaggi che le 100 tesi ponevano come tema li avevo già affrontati in passato e avevo modellato la mia vita professionale di conseguenza. Le risposte alle domande critiche che Cavicchi oggi pone alla classe medica le avevo già affrontate 30 anni fa con migliaia di altri colleghi italiani. Questo mi ha permesso di continuare ad amare il mio lavoro e trarne una grande soddisfazione sia umana che professionale, crescere come individuo e migliorare clinicamente come medico e, conseguentemente, essere meno soggetto a due grandi criticità della medicina moderna: il burn-out e la medicina difensiva. Per me il paziente è sempre una persona con cui stringo un patto profondo di collaborazione e non, come purtroppo oggi spesso succede, una persona da cui difendersi.

Dall’apporto di tutti i medici che hanno scelto le medicine non convenzionali potrà derivare un prolifico salto di qualità della nostra professione e un riavvicinamento con i desiderata di salute e guarigione che la popolazione sempre più si aspetta da noi medici come cambio di paradigma.

Sarà dura perché i primi segnali di scontro arrivano dalle retrovie più ostili al cambiamento della classe medica ma la risposta sarà chiara e decisa come Ivan Cavicchi ha precisato nella sua risposta sul Quotidiano della Sanità.

Del resto se vogliamo davvero evitare che la nostra professione superi il punto di non ritorno a seguito di un processo che vuole “snaturarla, facendola diventare altro, cioè una professione esecutiva, eterodiretta, obbediente alle procedure che ci impongono, senza più correlare la scienza con la coscienza”, come dice Anelli nella sua lettera ai medici italiani, è il giusto momento per muoverci e scrivere questa Magna Carta della professione rinnovata.

L’obiettivo è cambiare il paradigma che, non essendo intoccabile, seppure molte correnti intransigenti vogliano farcelo credere, ha subito cambiamenti sia a causa delle scoperte scientifiche che a causa dei mutamenti sociali e culturali della società. “Il nostro modo di essere medici deve adeguarsi al cambiamento se non vogliamo restare indietro” dice sempre Anelli nella sua lettera di presentazione.

Pertanto noi omeopati possiamo scrivere un capitolo importante di questa revisione critica della medicina contemporanea condividendo con i colleghi i percorsi di cambiamento di paradigma che la medicina omeopatica  ci ha obbligato a fare. Lo stesso percorso che i fisici hanno dovuto fare a partire dai primi decenni del secolo scorso con il superamento del paradiso di certezze della fisica classica, caratterizzata dalla consapevolezza (o dalla illusione) di piena autosufficienza metodologica che venne perturbato profondamente e irrimediabilmente da una grande conquista scientifica, la meccanica quantistica, che diede l’avvio a questa rivoluzione.

Noi siamo “solo” in ritardo di 100 anni ma, come diceva Alberto Manzi, il primo divulgatore culturale televisivo, in una trasmissione degli anni 50 contro l’analfabetismo: “Non è mai troppo tardi”.

Better late than never.

PS. dopo questa lettura ho ricominciato a leggere la recherche…sarà la volta buona?

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3 commenti su “C’era una volta l’Omeopatia, Marcel Proust, i films horror e gli Stati Generali

  1. Grazie Alberto, il tuo articolo, sempre per dirla con una citazione letteraria è “un raggio di sole nell’acqua gelida”. Ci conforta e rassicura sulla validità della scelta fatta. Non riuscirò mai a leggere la recherche ma mi procurerò il testo di Cavicchi, come lettura della mia estate. . In Grecia da sempre c’è una buona energia….buona vacanza!

  2. Grazie dr. Magnetti per questo articolo. Anch’io ho apprezzato le 100 tesi di Ivan Cavicchi e il coraggio di proporle in questo momento storico che sembra voler significare l’opposto. E’ dalle grandi crisi che nascono e si affermano nuovi paradigmi, anche se i poteri costituiti ostinatamente indicano il contrario. Poi, quasi magicamente, ci si sveglia una mattina e la realtà intorno è cambiata, mutata, completamente diversa. Così è stato a ottobre del 1917 in Russia, così è stato nel 1989 a Berlino. Ci sarà presto una realtà Burioni-free e Garattini-free, che contemplerà la ricerca della salute individuale, fatta di benessere psico-fisico e sociale. Si affermerà l’epoca in cui “Scopo principale ed unico del medico è di rendere sani i malati ossia, come si dice, di guarirli.”
    Per chi volesse intraprendere la lettura delle 100 tesi di Cavicchi, che assicuro è infinitamente più leggera e piacevole del rally proustiano, qui il link https://www.quotidianosanita.it/allegati/allegato5781192.pdf

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