Lamento dell’omeopata errante nella Giornata Mondiale dell’Omeopatia

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Oggi, 10 aprile, è un giorno di festa per l’omeopatia. In tutto il mondo si commemora la nascita del padre di questa medicina che da più di 200 anni aiuta l’uomo ad affrontare le malattie curandole nel modo più biologicamente corretto cioè rispettando e rafforzando le sue difese e il suo equilibrio omeodinamico. Tutto ciò attraverso un principio noto fin dai tempi di Ippocrate: il principio di similitudine. Quello che sconsiglia ad una madre di usare il ghiaccio su una scottatura o su una distorsione della caviglia del figlio ma una applicazione tiepida: caldo con caldo. Una sostanza che provoca sintomi su un soggetto sano, quegli stessi sintomi cura in un soggetto malato, così recita il principio di similitudine.

In questi ultimi 30 anni l’omeopatia, seppure maltrattata e contrastata da forti correnti di pensiero frutto sia di un pregiudizio scettico radicato, sia di condizionamenti e interessi commerciali contrari, ha continuato a crescere senza interruzione ed ad oggi circa un italiano su cinque si cura con questa medicina.

Il cittadino che ha fatto questa scelta non è uno sprovveduto, infatti tutti i sondaggi di questi ultimi anni lo descrivono come un soggetto di cultura elevata, nella maggioranza laureato, che ha fatto questa scelta dopo insuccessi della medicina convenzionale o dopo esperienze positive personali o riferite da conoscenti o su consiglio di personale medico.

Anche i lavori scientifici costo beneficio dimostrano la sostenibilità della medicina omeopatica per efficacia e per risparmio economico. Si constata in quasi tutti i lavori un miglioramento dal 70% nei bambini al 50% negli adulti del quadro patologico con un abbattimento dei costi per i farmaci e per le indagini diagnostiche del 50%.

Il medico durante la visita omeopatica indaga a fondo le dinamiche, non solo biologiche, che sono all’origine della patologia e questo allarga il campo di visione e d’azione dal punto di vista terapeutico. Il risultato? Per il medico una grande soddisfazione professionale ricominciando ad essere un terapeuta e non solo un tecnico biologico che applica rigidi protocolli terapeutici. Per il paziente la sensazione di essere finalmente “preso in carico” nella sua complessità da parte del medico che si interessa a tutti i suoi problemi da quelli fisici a quelli psichici. Queste condizioni sono ottimali per riallacciare un legame di fiducia oggi troppo spesso perduto tra medico e paziente. Quella che la letteratura scientifica definisce compliance migliora e si assiste spesso ad un sinergismo tra le forze in gioco che risulta molto spesso vincente.

Soddisfatto il paziente, contento il medico… ebbene non ci si potrebbe lamentare ma nuvole grigie si stagliano all’orizzonte dell’omeopatia.

Recentemente ho plaudito ad un evento che ho riferito in un articolo intitolato “omeopatia di qualità”. Si citava un documento degli Assessori alla Salute delle Regioni per la formazione del medico omeopata che poteva normare una situazione che viveva da anni in una condizione di completa anarchia.

Le aspettative erano alte perché da molti anni in diverse regioni italiane si lavorava alacremente nel campo delle Medicine non Convenzionali per proporre una normativa che garantisse professionalità e competenza da parte del medico di MnC a tutela del cittadino paziente.

Anche a Torino la Commissione MnC dell’Ordini dei Medici propose una definizione delle MnC e un percorso formativo minimo soddisfacente.

Il risultato finale di pochi giorni fa è stata la solita montagna che partorisce il topolino. Un percorso formativo adeguato ma una definizione di omeopatia che svilisce qualsiasi tentativo di chiarire al paziente le diverse competenze di ogni branca. “nella definizione di omeopatia sono comprese tutte le terapie che utilizzano medicinali in diluizione come specificato del Decreto legislativo n.219 del 24/4/2006 e successivi atti” così recita il documento della Conferenza Permanente Stato Regioni.

Pertanto omotossicologia, antroposofia e omeopatia sono associate in una unica definizione senza tenere in considerazione le diverse metodiche di approccio alla patologia, mancanza di sperimentazione della sostanza complessa e i diversi paradigmi scientifici su cui si fondano queste medicine. Ciò che doveva servire per chiarire non ha fatto altro che confondere e intorpidire le acque.

Come sostiene la Dott.ssa Maria Luisa Agneni sulle pagine di Repubblica questa mattina: “per curare omeopaticamente non basta prescrivere rimedi omeopatici ma occorre applicare il metodo sperimentale e clinico, altrimenti si fa altro dall’omeopatia”. Il rischio è di equiparare la competenza di un medico convenzionale che prescrive un farmaco “alternativo” con lo stesso approccio della farmacologia classica (e non mi riferisco quindi nè agli omotossicologi nè agli antroposofi) a quella di un omeopatico classico, che dopo aver cambiato il suo approccio al concetto di malattia e il paradigma di riferimento prescrive una terapia personalizzata con un approccio sistemico totalmente differente da quello della farmacologia classica.

http://www.lastampa.it/2013/04/10/blogs/appuntamento-con-l-omeopatia/lamento-dell-omeopata-errante-nella-giornata-mondiale-dell-omeopatia-E023GxKSflhfWKPVjsQRpJ/pagina.html

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