pubblico questo interessante articolo che ci aiuta a capire meglio i meccanismi che sottendono all’aggressione verso l’omeopatia.
Tratto da Le Monde, 28 novembre 2018
In Francia, negli ultimi mesi il movimento #nofakemed ha sollevato forti polemiche tra professionisti della salute favorevoli alle medicine complementari e una parte della classe medica che si è prefissata l’obiettivo di promuovere “trattamenti e terapie basati su evidenze scientifiche”. Secondo il filosofo e storico della scienza canadese Alexandre Klein, l’attacco virulento all’omeopatia va visto come sintomo di un malessere identitario più ampio della medicina moderna e conseguentemente del ruolo del medico.
Il movimento #nofakemed è molto aggressivo nei confronti
delle medicine complementari. Ci sono precedenti nella storia della
medicina?
Dalla Rivoluzione Francese, ogni volta che la classe medica ha voluto
affermarsi e unirsi, ha trovato nemici che ha chiamato “ciarlatani” per
definirsi meglio in contrapposizione ad essi. In una certa epoca erano i
guaritori, in altre le ostetriche o soggetti che esercitavano senza
essere medici, i cosiddetti “officiers de santé”. L’opera di esclusione
degli altri operatori sanitari è stata particolarmente attiva nel XIX
secolo, quando la medicina ha lavorato per acquisire il monopolio della
salute. Ma nel XX secolo è avvenuto un movimento inverso. Gradualmente,
le persone si sono rese conto che la salute non era solo la medicina.
Inoltre, nel 1946, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) l’ha
definita non solo come assenza di malattia, ma come stato di completo
benessere fisico, mentale e sociale. Nel frattempo i medici, che si
erano attribuiti la missione di guarire, hanno assistito al
moltiplicarsi delle malattie croniche, non più da curare ma soltanto da
gestire. Hanno quindi scelto di delegare, per mantenere il loro ‘core
business’, ad esempio creando associazioni per insegnare ai pazienti a
prendersi cura di loro stessi. La rimessa in discussione del monopolio
medico si è poi accentuata con lo sviluppo di un mercato del benessere,
divenuto sempre più importante.
Quindi la creazione di questo movimento “anti-ciarlatani” non l’ha sorpresa?
No, ma quello che mi ha colpito nella loro prima azione, una presa di posizione pubblicata a marzo su Le Figaro,
erano le affermazioni piuttosto disorganizzate, per non dire
disordinate. Si capiva che gli autori prendevano di mira l’omeopatia, ma
lo facevano mettendo nello stesso calderone tutte le medicine
complementari, senza sfumature né distinzioni.
L’agopuntura e l’omeopatia non possono essere equiparate tra loro, e non si può neanche considerare l’osteopatia, che è una disciplina insegnata e riconosciuta in paesi come il Canada o la Scozia, semplicemente una pratica da ciarlatani. Certo, è legittimo rivendicare pratiche basate sull’evidenza, ma l’idea stessa di esclusione mi risulta difficile da accettare. Ci sono interessi corporativistici in questo movimento, e inoltre, in realtà, la loro presa di posizione era destinata soprattutto all’ordine dei medici.
L’altro elemento che mi ha colpito è che molti dei firmatari del testo sono medici generici, apparentemente giovani. Non c’è peraltro da stupirsene, alla luce del fatto che sono anche i più colpiti dalla crisi di identità della medicina francese. Con il deterioramento delle condizioni di lavoro e pazienti più informati, più esigenti, talvolta più vendicativi, i medici sono spesso disorientati. Avendo sempre meno tempo da dedicare ai loro pazienti, non possono davvero prendersi cura (nel senso di care) di loro. A differenza degli omeopati, degli agopuntori o degli osteopati che, invece, offrono tempo per l’ascolto e cure individualizzate. Per me, questo movimento è quindi anche, e forse soprattutto, un sintomo del crescente malessere di alcuni medici.
Non è un desiderio di razionalizzare la medicina?
In apparenza, forse, ma il movimento di razionalizzazione delle pratiche
mediche esiste già da molto tempo e ora passa attraverso altri canali,
come ad esempio quelli della evidence-based medicine
(medicina basata sulle evidenze). Avrei pensato che i giovani medici si
lamentassero, al contrario, della poca autonomia lasciata loro dalle
guide di buone pratiche, interamente basate sulle evidenze. Rivendicare
maggiore scientificità è, a mio parere, come l’albero che nasconde la
foresta; forse un grido per denunciare qualcos’altro. Nel mondo, anche
se il processo di razionalizzazione è tuttora in corso, si va anche
verso una maggiore complementarietà, una maggiore interdisciplinarità
tra gli operatori terapeutici. Lo vedo in Canada o negli Stati Uniti,
dove le medicine complementari sono più integrate in ambito ospedaliero.
Ma la medicina francese rimane rigida su questi temi. Alla base, c’è
qualcosa di molto tradizionale, addirittura tradizionalista,
nell’iniziativa #nofakemed.
La loro modalità di comunicazione, soprattutto attraverso i
social, è estremamente moderna. Con affermazioni taglienti, attacchi
diretti…
In effetti, ma possiamo fare un parallelismo con le riviste mediche di
diversi fronti politici create nel XIX secolo e i dibattiti, talvolta
violenti, che ne sono emersi. Ciò che colpisce qui è che, oltre agli
osservatori esterni quali giornalisti o storici che seguono l’hashtag su
Twitter, i #nofakemed sono per lo più professionisti che si interrogano
a vicenda. E, come per il tema dei vaccini, ad esempio, vediamo che si è
innescata una battaglia di schieramenti tra pro e contro, senza un vero
spazio di discussione. Tuttavia, come ha già osservato la filosofa
Isabelle Stengers, che ha lavorato sul rapporto tra medici e ciarlatani,
quando le posizioni sono troppo contrarie, troppo definite per
stabilire un vero dialogo, probabilmente la domanda è mal posta e si
deve guardare altrove. Da qui l’idea di evidenziare il malessere e la
crisi d’identità della medicina francese che sono, a mio parere, il
nocciolo di questo movimento.